Memorie-2018

 

 

Descrizione: Descrizione: Descrizione: Descrizione: carta TERZA ROMA

DA ROMA ALLA TERZA ROMA

XXXVII SEMINARIO INTERNAZIONALE DI STUDI STORICI

Campidoglio, 21-22 aprile 2016

 

 

G. ManiscalcoGiovanni Maniscalco Basile

Università di Roma “Tre”

Associato dell’Istituto di Teoria e Tecniche dell’Informazione Giuridica del CNR

 

LE MIGRAZIONI RUSSE VERSO ORIENTE E I RAPPORTI FRA RUSSIA E CINA NEL XVII SECOLO: FOEDUS AETERNUM ED ECUMENE

 

 

Sommario: 1. L’espansione russa verso Oriente. – 2. I due imperi. – 2.1. La legittimazione imperiale. – 2.2. La concezione imperiale del mondo. – 2.2.1. Lo spazio. – 2.2.2. Il tempo. – 3. Foedus aeternum. – 4. Limites imperii. – 5. Opere citate.

 

 

1. – L’espansione russa verso Oriente

 

L’esplorazione-migrazione russa verso Oriente era partita da Novgorod nell’XI secolo, ma era stata bruscamente troncata nel XIII dall’invasione mongola[1].

Era poi ripresa nel XVI secolo. La via verso Oriente era relativamente facile. Le grandi pianure, le colossali vie fluviali siberiane erano comode strade di accesso e gli Urali non erano ostacoli troppo difficili da superare. Il bottino, poi, era assai ghiotto: zibellini e altri animali da pelliccia abbondavano nella Siberia settentrionale e orientale e presto, nel XVII secolo, cominciarono anche a costituirsi insediamenti agricoli in una terra relativamente fertile, almeno nella Siberia meridionale.

A differenza di altre espansioni “coloniali”, come quelle delle potenze marittime europee occidentali, che erano sostanzialmente finanziate e governate dagli stati, l’espansione russa era invece affidata a iniziative private, a cosacchi, avventurieri e commercianti privati, pur talvolta con un’autorizzazione ufficiale dello Car’. In questa avventura, la famiglia Strogonov, che aveva ottenuto da Ivan IV una licenza che premetteva loro di fondare città e altri insediamenti minori oltre gli Urali a loro spese, ebbe un ruolo importante. Gli Strogonov ebbero da Ivan il Terribile anche il permesso di formare un esercito a difesa dei loro nuovi domini.

L’espansione russa nella parte Nord Occidentale della Siberia fu straordinariamente rapida. In un decennio e mezzo gran parte di quel territorio era sotto il controllo russo[2].

Nella prima metà del XVII secolo Tobolsk, Tara, Irkutsk e altri insediamenti ad Est del Bajkal erano stati fondati ed erano saldamente sotto l’amministrazione russa.

All’inizio della seconda metà del XVII secolo ebbe inizio l’ultima fase dell’espansione russa verso oriente: l’esplorazione del bacino dell’Amur.

Questa fase dell’espansione migratoria portò inevitabilmente a un incontro fra i russi che si spostavano verso Est e i popoli tributari della più grande potenza imperiale del tempo: la Cina.

Nell’estate del 1657, alla foce del fiume Nerča venne fondata la città di Nerčinsk e poco dopo, nel 1669, la città fortificata di Albazin. Era l’inizio di una vera e propria colonizzazione. E lo scontro diretto con l’impero cinese era diventato inevitabile.

Nel corso dell’espansione russa nel bacino dell’Amur, c’erano già stati scontri locali fra russi e soldati manchu.

L’imperatore cinese, che in quel tempo, non era in grado di difendere dall’invasione russa le popolazioni di confine, ordinò ai suoi tributari di fare terra bruciata: distruggere i raccolti, macellare gli animali e abbandonare i villaggi[3].

Oltre che dalla scarsezza di risorse, i russi furono allora messi in ulteriore difficoltà dalla loro impreparazione militare: poche truppe e armamenti insufficienti. Quando le truppe manchu, nel 1686, assediarono Albazin, i russi furono costretti ad arrendersi, abbandonando Albazin al saccheggio cinese, poi però, quando le truppe cinesi ebbero abbandonato quello che restava della città, la rioccuparono e, questa volta, resistettero abbastanza a lungo da indurre l’imperatore cinese KangXi (康熙帝 – Kang Xi Di), secondo della dinastia Qing, a disporre l’alleggerimento della linea d’assedio e poi toglierlo del tutto all’inizio delle trattative che sfociarono nel trattato di Nerčinsk[4].

Dai documenti del tempo, appare evidente che Russia e Cina si presentavano l’una all’altra come “imperi,” e questa era stata la ragione principale del fallimento della prima missione diplomatica ufficiale disposta dallo Car’ russo nel 1649 quando ancora i rapporti fra le due potenze non erano arrivati alla guerra dichiarata: Fëdor Isakovič Bajkov aveva ricevuto da Aleksej Michajlovič Romanov il mandato di consegnare molti doni e una lettera all’imperatore cinese e il divieto di prestarsi ad atteggiamenti di sottomissione nei confronti dell’imperatore cinese. Il suo rifiuto di inchinarsi davanti al palazzo imperiale, a consegnare i doni e la lettera dello Car’ ai ministri invece che direttamente all’imperatore ne avevano provocato l’espulsione dalla Cina[5].

 

 

2. – I due imperi

 

L’impero russo era il risultato dell’annessione da parte di Mosca delle altre città indipendenti che avevano formato il tessuto di quel territorio politico che i Varjagi chiamavano “Gar∂ariki”, la Terra delle Città, e poi dell’espansione verso Oriente.

L’impero cinese poi era il frutto dell’unificazione dei Regni Combattenti in uno Stato Imperiale (帝国 – DiGuo) o Stato Centrale (中国 – ZhongGuo)[6] da parte del primo dei sovrani Qin, Qin Shi Huang (秦始皇), che nel 221 a C. aveva assunto il titolo di un suo mitico predecessore, l’Imperatore Giallo (皇帝 – HuangDi)[7] e del continuo allargamento delle sue frontiere che era proseguito sino alla conquista del sud della Cina.

Questi due imperi includevano popoli di origini e civiltà diverse e avevano generato un “ordine”[8].

È ovvio che per la creazione di un impero e per la creazione e per il mantenimento di un ordine “imperiale” è necessario che si formi una larga fascia di consenso, sia mediato attraverso i governanti dei popoli “annessi,” sia diretto, degli stessi popoli. E questo consenso può scaturire dalla paura di una reazione punitiva del governo imperiale oppure dalla coscienza diffusa della legittimità di quel governo ed anche dalla constatazione dell’efficacia della sua azione “pacificatrice”, cioè di garante di quello specifico ordine. E se tale azione era sostenuta da una forte ideologia che si concretava in una solida dottrina giuridico-religiosa del potere imperiale, diventava possibile ottenere l’obbedienza dei sudditi, anche se di culture e civiltà diverse, senza bisogno di ricorrere alla forza.

 

 

2.1. – La legittimazione imperiale

 

 È ovvio che un’ideologia del potere imperiale deve essere in grado di unificare popoli di tradizioni, lingue, civiltà diverse: nella storia, la prima ideologia capace di attingere a questo scopo è stato il ricorso a un Dio[9].

Mosca aveva trovato una forza unificante, tale da giustificare l’annessione delle altre città russe – udely o, più correttamente, zemli di altri principi – dei khanati di Kazan e di Astrachan e poi delle terre ad Oriente, nella profezia di Daniele (2 e 7) e nella dottrina di Mosca-Terza Roma con le sue varie articolazioni, dinastiche, profetiche ed escatologiche.

La Cina aveva invece fatto riferimento a un’entità molto diversa dal Dio del Cristiani: il Cielo, un’entità “divina” ma impersonale, regolatrice e irrogatrice di un’etica di governo, la disubbidienza alla quale comportava per il sovrano la revoca del Mandato del Cielo (天命TianMing) a governare l’Impero di Mezzo. L’imperatore era Figlio del Cielo  ( – TianZi) fino a quando garantiva l’ordine e l’armonia nel suo impero. Se invece non ne era capace, il mandato cessava – anche per effetto di una conquista militare, di una rivolta o di una congiura di palazzo (che si consideravano volute dal Cielo) – ed era affidato ad in altro sovrano che avrebbe fondato un’altra dinastia.

 

 

2.2. – La concezione imperiale del mondo

 

2.2.1. – Lo spazio

 

Nel corso della cerimonia di incoronazione di Ivan IV, nel 1547, il Metropolita Makarij aveva proclamato solennemente: «Ecco che ora da Dio vieni insediato, unto e proclamato gran principe Ivan Vasil’evič, da Dio incoronato imperatore e autocrate di tutta la Grande Rus’; e moltiplichi il Signore Iddio gli anni del tuo impero, ponga sul tuo capo la corona di pietre preziose, ti conceda lunghi giorni, ti dia il Signore nella tua destra lo scettro dell’impero e ti faccia sedere sul trono della giustizia, ti circondi con la panoplia dello Spirito Santo, rafforzi il tuo braccio, sottometta a te tutte le genti barbare …»[10].

Ancor più chiaramente Filofej di Pskov aveva individuato i confini del potere dello Car’: «Che sia tua la potenza, o pio Car’, affinché tutti gli imperi cristiani ortodossi si uniscano nel tuo unico impero, tu unico sotto il cielo Car’ ortodosso»[11].

Mosca era dunque la Terza Roma, unica e ultima capitale ortodossa, circondata da popoli barbari. E il mandato che Iddio attribuiva allo Car’ era di estendere lo spazio della cristianità ortodossa, retta dal timone dell’imperatore “insediato da Dio,” a tutto il mondo e, nella impostazione di Makarij – che poi derivava da quella di Iosif Volockij, la quale a sua volta derivava da quella di Eusebio di Cesarea[12] – al popolo di tutto il mondo.

Lo spazio “ideologico” della Russia era dunque l’intera ecumene e tutti i popoli che la abitavano.

Dal canto suo, la concezione cinese dello spazio del mondo faceva riferimento alla Terra fra i Quattro Mari (四海 – Sihai) sovrastata dalla volta del cielo appoggiata su quattro montagne sacre. La Cina (中国 – ZhongGuo), lo Stato Centrale, stava in mezzo a quello spazio e lo governava, circondato da popoli barbari[13].

Un ’antica ode canta:

«Ovunque sotto il vasto cielo (天之下)

non c’è terra che non sia del re;

fino ai confini estremi di quelle terre

non c’è chi non sia suo suddito»[14].

La Terra era “Tutto sotto il Cielo” (天下 – TianXia, oppure 天之下 – TianzhiXia) perché i territori non ancora direttamente retti dall’Imperium dallo HuangDi gli erano comunque sottordinati, perché barbari o tributari. Quindi il termine “TianXia” era concettualmente equivalente al termine russo “vselennaja”, ecumene: cioè, tutta la terra abitata e anche tutti i popoli che la abitavano.

 

 

2.2.2. – Il tempo

 

Una concezione “imperiale” del mondo aveva un suo naturale corollario in una concezione “imperiale” del tempo.

La profezia di Daniele (2 e 7) dava all’ultimo dei cinque imperi, l’impero romano, una dimensione spaziale e temporale escatologica: l’ultimo impero era universale e la sua fine avrebbe segnato lo scivolare del mondo verso l’eternità di Dio e verso il Suo Terribile Giudizio; la figura dell’imperatore era immagine speculare di Dio, sia nella teologia politica di Eusebio di Cesarea che in quella di Iosif Volockij[15].

Lo Car’, che derivava la sua autorità dal complesso intreccio dinastico-teologico della teoria della Terza Roma, reggeva un impero ecumenico che sarebbe durato fino alla Parusia: a tutti gli eetti un impero “eterno”.

Secondo la concezione cinese dell’impero[16], il sovrano governava per mandato del Cielo (天命 – TianMing)[17]. Il termine “mandato” non rende in modo preciso il campo semantico del termine cinese Ming – , così come il termine Tian – Cielo – non corrisponde al concetto occidentale di divinità. Da un punto di vista “fisico” il Cielo (almeno nella Cina più antica) è l’ombrello che ricopre la Terra fra i Quattro Mari, ma almeno a partire dall’affermarsi della filosofia confuciana (VI-V secolo a. C.)[18], esso è piuttosto una forza impersonale che rappresenta tutto ciò che, in natura, è buono e giusto[19].

A questo titolo il Cielo può conferire mandati e revocarli, perché è nella natura che governanti buoni governino e governanti cattivi perdano il trono.

Il mandato del Cielo, dunque, è eterno quanto la natura che rappresenta.

 

 

3. – Foedus aeternum

 

Il trattato di Nerčinsk del 1689 che disciplinava i rapporti di confine fra Russia e Cina in risposta all’aumentata pressione migratoria russa verso Oriente, in un certo senso, è più importante per il suo contenuto ideologico che per i risultati pratici: in particolare per la Russia.

In un contatto diplomatico avvenuto circa vent’anni prima del trattato di Nerčinsk, nel 1654, lo Car Aleksej Michajlovič aveva vantato il suo titolo imperiale in una lettera che non era mai stata ricevuta dall’imperatore cinese, perché l’ambasciatore russo, Fëdor Isakovič Bajkov, aveva rifiutato di sottoporsi alle cerimonie di sottomissione che l’imperatore cinese pretendeva da chi volesse presentarsi davanti a lui[20].

Alla fine degli anni ottanta del diciassettesimo secolo la situazione era cambiata. Per l’imperatore della Cina non si trattava di decidere come trattare un ambasciatore, ma come comportarsi nei confronti di un popolo emigrava verso i suoi confini e si stabiliva sulle sue terre, che invadeva il territorio di popoli tributari del suo impero e ne piegava i capi all’obbedienza, li includeva e li annobiliava[21], che fondava città fortificate o che distruggeva villaggi del suo popolo. E tutto questo, mentre altri disordini di frontiera impegnavano il suo esercito[22].

Le lunghe e faticose trattative[23] sfociate nel trattato di Nerčinsk sono la risposta di Cina e Russia alla guerra di confine. Entrambe le parti furono costrette a concessioni significative: territoriali per la Russia che aveva sperato di fissare il suo confine meridionale lungo il corso del fiume Amur; territoriali anche per la Cina che doveva comunque rinunziare alla sua influenza sulle popolazioni che abitavano a nord dei monti Stanovoj.

Ma la parte forse più importante di questo primo trattato sta nell’articolo finale del testo latino concordato dalle due parti come testo ufficiale.

«Concilio inter utriusque Imperii legatos celebrato, et omnibus utriuisque Regni limitum contentionibus diremptis, paceque stabilita, et aeterno amicitiae foedere percusso, si hae omnes determinatae conditiones rité observabuntur, nullus erit amplius perturbationi locus. […]

Demum et iuxta hoc idem exemplar eaedem conditiones Sinico Ruthenico et latino idiomate lapidibus incidentur, qui lapides in utriusque Imperii limitibus in perpetuum ac aeternum monumentum erigentur»[24].

Il trattato era stato redatto in tre versioni, russa, latina e cinese. Nel testo cinese, scritto in lingua manchu, così si stabilisce[25]:

«Entrambi gli stati, a seguito della pace eterna, hanno deciso che d’ora in poi tutti coloro che vengono in uno o in un altro paese, se hanno permessi di viaggio, possono svolgere commercio»[26] […]

È fatta una copia per ognuna delle parti che viene scambiata e i cinesi, dopo avere fatto delle copie in russo e in cinese, le intagliano nella pietra posta al confine fra i due stati per farne un monumento per lungo tempo.

Nel testo manchu, solo l’imperatore cinese ha il solenne appellativo imperiale che gli compete, Hûwangdi, mentre lo Car’ russo è chiamato “Oros gurun-i cagan,” “khan del paese russo”: nelle versioni redatte nelle rispettive lingue delle due parti,  russo e manchu, nessuna di esse attribuisce esplicitamente all’altra un titolo imperiale: i russi chiamano Bugdychan[27] l’imperatore cinese e i cinesi chiamano cagan lo Car’. Ma nella versione latina, entrambi i contraenti hanno “nome” imperiale (utrumque Imperium). Ma soprattutto, nella versione manchu (e non in quella russa), la dimensione temporale dell’accordo è di “lungo tempo eterna,” (enteheme goro goidame) e le lapidi da installare lungo i nuovi confini sono destinate a durare “per lungo tempo” (goro goidara)[28].

È evidente che il foedus aeternum (Alexeeva 2013)[29] può avere una dimensione “temporale” così estesa in quanto entrambe le parti contraenti hanno davanti a sé una durata altrettanto estesa: dunque se entrambe sono imperi in senso giuridico-religioso.

E pur non volendo attribuirgli espressamente quel titolo di imperatore che Aleksej Michajlovič aveva vantato sottolineando la sua discendenza da Augusto (Baddeley 1919) lo accomuna alla sua dignità stabilendo per entrambe le parti del trattato un termine temporale che si puro riferire solo a un impero: l’eternità, che sola si addice alla maiestas imperiale (cfr. Catalano 1995, 37 e Catalano 2000, 11.).

L’idea della coesistenza di due imperi potrebbe apparire paradossale, sia in termini di spazio che di tempo: esiste infatti una sola ecumene “fisica” nello spazio e nel tempo.

Invece il trattato di Nerčinsk stabilisce una “cosmologia politica” del tutto nuova. Esso mostra infatti che la coesistenza nello stesso spazio e nello stesso tempo di due imperi non è un assurdo. È forse solo dei nostri contemporanei pensare alla Terra come un’estensione finita. Nel XVI e nel XVII secolo, benché le scoperte di Colombo avessero contribuito a rendere il nostro globo un po’ più piccolo, lo spazio del mondo non appariva angusto e delimitato come può apparirci oggi. E lo spazio misterioso interno ai continenti che i cartografi del Medioevo riempivano con immagini fantastiche o identificavano con la terra di Gog e Magog[30] apriva prospettive spaziali che non avevano confini ben definiti.

Sebes (Sebes S.J. 1961, 113) si chiede se le categorie del giusnaturalismo[31] possano aver influenzato la struttura del trattato, in particolare per merito dell’opera di mediazione dei due gesuiti interpreti di parte cinese, Thomas Pereira e Jean-François Gerbillon, e forse anche di Andrej Belobockij[32], l’interprete della delegazione diplomatica russa.

La domanda di Sebes, benché non abbia risposta precisa nel suo studio al di là della presentazione di indizi deboli e tutt’altro che univoci, pone comunque un problema che non può essere risolto in termini esclusivamente pragmatici e di mera analisi istituzionale[33], ma che va posta e risolta invece proprio con riguardo allo spazio giuridico e teorico-politico dell’idea stessa di impero.

E proprio in questo spazio che i tre interpreti-mediatori di parte russa e cinese sembrano aver svolto la parte più significativa del loro lavoro. Le differenze fra i due testi, russo e manchu, in particolare sulle questioni ideologiche più importanti, fanno infatti pensare ad un’opera di mediazione di tipo “creativo”[34], nella quale Pereira, Gerbillon e Belobockij avessero scelto dalle due versioni, russa e manchu[35]. gli aspetti complementari per costruire un trattato ed un’alleanza che corrispondesse alle esigenze delle parti più che ai loro desideri[36].

 

 

4. – I limites imperii

 

Il trattato di Nerčinsk, comunque, nasce proprio per tracciare confini. Come si concilia allora l’idea di confine con quella di impero ecumenico?

Il testo del trattato, quello russo e quello latino, risponde in modo esauriente a questa domanda.

Nel primo articolo del trattato, si fissa il primo “confine” fra i due imperi: «Rivulus nomine Kerbichi, qui rivo Chorna Tartarice Urum dicto proximus adiacet et fluvium Sagalien Uia influit, limites inter utrumque Imperium constituet» e, nello stesso articolo: «Item a vertice rupis seu montis lapidei, qui est supra dicti rivuli Kerbichi fontem et originem et per ipsa huius montis cacumina usque ad mare, utriusque Imperii ditionem ita dividet »[37].

Come si vede, il testo latino impiega il termine “limites” per indicare una linea di separazione fra due “ditiones” (o dictiones). Non “fines” e “imperium[38].

Il testo russo[39], poi, impiega i termini “deržava” (potenza, facoltà di agire da parte di un soggetto dal potere sovraordinato) e “gosudarstvo” (e non “vlast[40] e “carstvo”); poi “rubež” (limite-segno di delimitazione[41]) e non “granica” (confini)[42], che hanno un significato analogo[43].

È evidente dal testo latino del trattato (e, in parte, anche dalle due versioni russa e manchu) che nessuna delle due parti intendeva rinunziare al proprio spazio “ecumenico” ma era ugualmente in grado di tracciare una linea atta a separare le diverse potestà giurisdizionali e amministrative. I due imperi, dunque pur accettando una separazione spaziale delle rispettive sfere di giurisdizione, non avevano confini[44].

Come l’albergo di Georg Cantor[45], dotato di un numero infinito dalle stanze tutte occupate che può ancora accogliere in ogni momento un numero infinito di ospiti, anche “Tutto sotto il Cielo” e l’Ecumene potevano accogliere nello stesso tempo e nello stesso spazio due imperi universali[46].

 

 

5. – Opere citate

 

AA.VV. Russko-Kitajskie Otnošenija 1689-1916. Moskva 1958.

T. Alekseeva, Fondamenti romani (bizantini) dell’Impero russo ed aeternum foedus con l’Impero cinese (1689), in Diffusione e sviluppo del sistema del Diritto Romano e il Diritto Cinese, Università Nord-Ovest di Scienze Politiche e Giurisprudenza, Xian, Law Press China [Pechino] 2013, 28-33 (in lingua cinese).

Ead.,Fondamenti romani (bizantini) dell’Impero russo ed aeternum foedus con l’Impero cinese (1689), in: Roma e America. Diritto Romano Comune. Rivista di Diritto dell’Integrazione e dell’Unificazione del Diritto in Eurasia e in America Latina. 36, 2015,    .

J.F. Baddeley, Russia, Mongolia, China, London 1919.

J. Burbank, e F. Cooper, Empires in World History. Power and the Politics of Difference, Princeton e Oxford 2010.

G. Cantor, La formazione della teoria degli insiemi (scritti 1872-1899), a cura di G. Rigamonti, Milano2012.

P. Catalano, Le concept juridique d’Empire avant et au-delà des États, in Méditerranées 4 (1995): Empires et passés méditerranéens, 29-45.

Id., Impero: un concetto dimenticato del diritto pubblico, in Cristianità ed Europa, a cura di C.

       Alzati, Roma, Freiburg, Wien 2000, 29-51.

Id., Impero (romano) e stati, in Imperium, Stato, Civitas. Contributo critico alla concezione

       postmoderna del potere, a cura di E. Calore e R. Marini, Franz Steiner Verlag 2015, 11-20.

Idea di Roma a Mosca. Secoli XV-XVI. Fonti per la Storia del Pensiero Sociale Russo, a cura di P. Catalano e V. T. Pašuto, Roma 1993.

V. Chen, Sino-Russian relations in the Seventeenth Century., The Hague1966.

M. Ciccarini, Ultimi roghi. Fede e tolleranza alla fine del Seicento. Il caso di Andrej Christoforovič Belobockij, Roma 2008.

G. Giraudo, Aleksej Michajlovič’s Letter to the Chinese Emperor Shun-Chi (1654), in Russia and China: Traditional Values and Modernization, Tamkang University 2001, 62-71.

G. Giraudo e G. Maniscalco Basile Lessico giuridico, politico ed eccelsiastico della Russia del XVI secolo, Roma 1994.

J.-B. Halde S.J., Description géographique, historique, chronologique, politique et physique de la Chine et de la Tartarie Chinoise, vol. I–IV, Paris 1735.

He Peng, Cinese Lawmaking: from Non-Communicative to Communicative, Heidelberg, New York, Dordrecht, London 2014.

Jiang Yonglin, The Mandate of Heaven and the Great Ming Code, Seattle e London 2011.

G. Maniscalco Basile, Ideologia Imperiale fra Russia e Cina: Migrazioni e Trattati, in Migrazioni. Formazione dello Stato russo. Atti dei Seminari internazionali di studi storici «Da Roma alla Terza Roma» degli anni 2010-2015, a cura di P. Catalano, Ju. Petrov, e C. Trocini, edito dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, Mosca 2015.

V. S. Mjasnikov, Ching Empire and the Russian state in the 17th century, a cura di V. Schneierson, Moscow 1985.

O. Pritsak, The Slavs and the Avars., vol. XXX-1, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1983.

M. Scarpari, Sotto il Cielo: la concezione dell’impero nella Cina antica, in Semantiche dellImpero, a cura di A. Ferrari et al., Napoli 2009, 15-44.

Id., At the Center of the Universe, in Annali di Ca’ Foscari,  XLIX, 3, Venezia 2010, 193-204.

Id., Confucianesimo, Brescia 2015.

C. Schmidt, Il concetto di impero nel diritto internazionale. Ordinamento dei grandi spazi con esclusione delle potenze estranee, a cura di L. Vannutelli Rey e F. Pierandrei, Roma 1941.

J. Sebes S.J., The Jesuits and the Sino-Russian Treaty of Nerchinsk (1689). The Diary of Thomas Pereira S.J., Istitutum Historicum S.I., Roma 1961.

I. Ševčenko, A neglected Byzantine source of Muscovite political ideology, in Harvard Slavic Studies II (1954), 141-179.

I.I. Sreznevskij, Materijaly dlja slovarija drevnerusskogo jazyka, vol. I, Sankt Peterburg 1893.

G. Stary, I primi rapporti fra Russia a Cina: documenti e testimonianze, Napoli 1974.

Man-tsu ti-kuo ti ch’an-sheng ho hsing-ch’i ti Ou-chou chien-cheng, in Ching-ping yü Chung-kuo she-hui, a cura di Shen-yang Sun Wen-Liang, (1996), 150-157.

Zeng Guofan,  Russia and China : important memorial to the throne : the marquis Tseng’s instructions : the nature of the Russo-Chinese treaty explained : warlike attitude of China / transl. exclusively for the Shanghai Courier, Cambridge Un. Library - CRD.88.48, Celestial Empire Offices, sec. XIX.

 



 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dal Comitato promotore del XXXVI Seminario internazionale di studi storici “Da Roma alla Terza Roma” (organizzato dall’Unità di ricerca ‘Giorgio La Pira’ del CNR e dall’Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, con la collaborazione della ‘Sapienza’ Università di Roma, sul tema: MIGRAZIONI, IMPERO E CITTÀ DA ROMA A COSTANTINOPOLI A MOSCA) e dalla direzione di Diritto @ Storia]

 

[1] Cfr. Sebes S.J. 1961, 5 ss.

[2] Cfr. Sebes S.J. 1961, 14 ss.

[3] Sebes S.J. 1961, 26.

[4] Vladimir Mjasnikov (Mjasnikov 1985) sostiene che la guerra attorno ad Albazin era stata accuratamente progettata e preparata dall’imperatore Qin KangXi per strappare ai russi la valle dell’Amur, prossima alla regione di origine della sua dinastia.

[5] Sulla missione diplomatica di Fëdor Bajkov e sulla lettera di Aleksej Michajlovič all’imperatore ShunZhi, cf. Baddeley 1919, Stary 1974, Maniscalco Basile 2016 e la bibliografia ivi citata.

[6] Cfr. Scarpari 2010, 197 e Scarpari 2009, 12.

[7] Per una definizione del campo semantico del termine Huangdi e delle sue implicazioni sacre, cfr. Scarpari 2010, 201.

[8] Che Omeljan Pritsak, analizzando la struttura istituzionale delle orde nomadiche che da Est si riversavano verso Occidente attraverso le pianure dell’Asia centrale, chiama pax. Cfr. Pritsak 1983.

[9] Su questo punto, cfr. Catalano 1995, Catalano 2000, Catalano 2015. Cfr. anche Burbank e Frederic 2010, 445: «The idea of a universal empire linked to a single universal faith – Christianity – left a lasting imprint on later empires that emulated Rome. Yet when Constantine moved his capital to Byzantium, he and his successors, while relying on the church to shore up their power, adjusted their mode of rule to the multiple peoples, cultures, and economic networks of the eastern Mediterranean. The eastern Roman empire left a different version of Christianity to empires, like Russia, that took shape at the edges of its cultural orbit».

[10] Cf. Catalano e Pašuto 1989, 291.

[11] Catalano e Pašuto 1989, 275.

[12] Ševčenko 1954.

[13] Cf. Scarpari 2009, 11 «Il Cielo è rotondo e la Terra è quadrata» recita un antico testo (HuainanZi I Maestri di Huainan, cit. in Scarpari 2010, 194).

[14] Dall’ode Beishan ( Montagne del Nord-VIII sec. a C.) ne Il Classico delle Odi, cit. in Scarpari 2009, 15.

[15] Ševčenko 1954.

[16] Scarpari 2010, 198.

[17] Jiang Yonglin 2011.

[18] Scarpari 2015.

[19] Cfr. Peng He 2014, 51 ss. Scarpari 2015.

[20] Cfr. Stary 1974, Sebes S.J. 1961.

[21] Come è il caso di Gantimur, capo dei Dauri – una tribù al confine cinese, tributaria dell’impero cinese – che era stato ribattezzato Gantimurov e annobiliato quando si era sottomesso alla Russia. Cfr. Chen 1966.

[22] Sulla precedente ambasceria moscovita in Cina guidata da Fëdor Bajkov, cfr. la bibliografia citata nella nota 6.

[23] La descrizione di tutte le fasi della trattativa sono raccontate nei dettagli nel diario di Thomas Pereira, uno dei due gesuiti incaricati dall’imperatore KangXi di fungere da interpreti e da mediatori nella negoziazione del trattato. Cfr. Sebes S.J. 1961.

[24] Sebes S.J. 1961, 284.

[25] Per un analisi delle differenze fra i tre testi del trattato, Cfr. Sebes S.J. 1961, 149 ss. I tre testi sono pubblicati in Stary 1974 e in Maniscalco Basile 2016.

[26] La traduzione dal manchu è in Stary 1974.

[27] Sul significato del termine bugdychan, cfr. Stary 1996, cit. in Giraudo 2001.

[28] Nel testo russo del trattato di Nerčinsk, però, il termine “eterno” (večnyj) non compare, ma esso compare invece con relativa frequenza nei testi russi dei trattati successivi fra Russia e Cina. Cfr. AA.VV. 1958. Poi, nella versione russa, la clausola che dispone che del “patto eterno” si dia notizia con delle lapidi poste lungo i nuovi “limiti” è affidata al libito dell’imperatore cinese. In quel testo, che secondo Sebes S.J. (Sebes S.J. 1961, 152) avrebbe costituito solo una bozza da riversare nella versione ufficiale in latino, si legge: «… Se Sua Altezza il Bugdychan desidera da parte sua incidere questi articoli sulla frontiera, elaborati nel corso delle trattative diplomatiche, su delle lapidi e erigerle lungo la frontiera come ricordo, Noi lo lasciamo fare a Sua Altezza il Bugdychan, secondo la sua volontà.» In realtà, come ho sostenuto in un precedente studio (Maniscalco Basile 2016), le diverse versioni erano anche e forse in modo più incisivo quelle che manifestavano l’idea che ognuno dei due imperi desiderava dare di se sesso al proprio interno.

[29] Cfr. in lingua italiana Alekseeva 2015.

[30] Genesi10.2; Ezechiele 38.22 e 39.6; Apocalisse 20.7.

[31] E si chiede se l’influenza di Francisco de Victoria e di Francisco Suares (ma anche quella del De iure belli ac pacis di Ugo Grozio), le cui opere erano certamente note ai gesuiti in Cina, si fosse fatta sentire.

[32] Cfr. Ciccarini 2008. Su Belobockij, Jean-François Gerbillon così annota nel suo diario: «Les Moscovites exposerent leur commission par la bouche d’un des leur gentilhommes de l’Ambassade, qui ètoit Polonois de Nation, et qui avoit étudié en Philosophie et en Théologie à Cracovie; il s’explicoit aisément et assez clairement en Latin »; cfr. Halde S.J. 1735, vol. IV, 191. Pereira era poi convinto che Belobockij fosse cattolico (Sebes S.J. 1961, 232, nota 156 e 251). Belobockij, infatti, prima di convertirsi all’ortodossia, era probabilmente appartenuto alla Compagnia di Gesù (cfr. Ciccarini 2008).

[33] E ciò anche grazie alla relativa dicoltà di rinvenire una struttura istituzionale che corrisponda in modo univoco all’ idea giuridica di impero. Cfr. Burbank e Frederic 2010.

[34] Anche se del contributo “ideologico” degli interpreti alla stesura del trattato Pereira non fa cenno nel suo diario.

[35] In realtà, ritiene Sebes, poco più che delle bozze.

[36] Nella realtà istituzionale, il trattato rappresentò una spiacevole necessità per la Russia che, come già detto, dovette rinunziare a una buona parte delle sue pretese territoriali. La Cina dal canto suo – costretta a negoziare da pari a pari – si era risolta a una trattativa umiliante svolta fuori dai confini dell’impero quasi esclusivamente per ragioni militari e politiche interne all’impero che rendevano imbarazzante che il testo di un trattato “paritario” venisse conosciuto a Pechino. Cfr. anche Zeng, che riporta il memoriale del Marchese Zeng Guofan in cui si critica aspramente il testo di un trattato concluso nel XIX secolo (dal testo non si ricava esattamente quale) che avrebbe posto la Cina in posizione di evidente svantaggio nei confronti della Russia (chiamata “Grande Impero”). Purtroppo, non è disponibile il testo in cinese, quindi non è possibile risalire all’espressione cinese per “Grante Impero” (forse DaDi ). Infatti, del testo cinese del trattato non esiste traccia nelle fonti cinesi del tempo, e gli annali imperiali (Qingshilu) riportano solo il testo da iscrivere nelle lapidi di confine: il testo integrale del trattato era stato opportunamente occultato! (Sebes S.J. 1961, 120, Shi Zhihong 史志宏 (1992), Qingshilu 清實錄, in Zhongguo da baike quanshu 百科全書, Zhongguo lishi 中國歷史 (Beijing/Shanghai: Zhongguo da baike quanshu chubanshe), Vol. 2, 842 ss.

[37] Sebes S.J. 1961, 282.

[38] Su questo punto, cfr. Catalano 2000, 41.

[39] «Такожде от вершины тоя реки Каменными горами, которые начинаются от той вершины реки и по самым тех гор вершинам, даже до моря протягненными, обоих государств державу тако разделить Река, имянем Горбица, которая впадает, идучи вниз, в реку Шилку, с левые стороны, близ реки Черной, рубеж между обоими государствы постановить». Cfr. Stary 1974 e Maniscalco Basile 2016.

[40] Giraudo e Maniscalco Basile 1994, 163.

[41] Cfr. Sreznevskij 1893, 179.

[42] Sreznevskij traduce granica come terminus; cfr. Sreznevskij 1893, 584.

[43] Il testo manchu impiega invece termini più generici. Il corrispondente di limites è jecen (“confine” di natura non specificata) e quello corrispondente a deržava è harangga (dominio). La traduzione dei termini contenuti nella versione manchu del trattato è dovuta alla cortesia di Giovanni Stary.

[44] Sulla possibilità teorica della coesistenza di più imperi, cfr. Schmidt 1941, 71, cit. in Catalano 2000, 49.

[45] Cfr. Cantor 2012. Nella matematica degli insiemi transfiniti di Cantor, un insieme infinito, come quello, per esempio, dei numeri naturali, può contenere al suo interno altri insiemi infiniti, come quello dei numeri pari e quello dei numeri dispari, entrambi altrettanto infiniti.

[46] La coesistenza di due imperi costituiva comunque un problema ideologico e istituzionale tutt’altro che banale. Per esempio, l’incoronazione di Carlo Magno era stata resa possibile (nonostante il disappunto del trono costantinopolitano) dal fatto che sul trono di Costantinopoli sedeva Irene, e una donna per secolare tradizione non poteva portare la corona imperiale romana e invece a torto si era attribuita il titolo di βασιλεὺς e αὐτοκράτωρ τῶν Ῥωμαίων. Leone III per questo aveva ritenuto vacante il trono di Costantinopoli e incoronato Carlo Magno come imperatore romano.